Nella Cappella del Castello Reale di Moncalieri, il 29 settembre 1781 alle ore 4 dopo il mezzodì, stavano inginocchiati dinanzi all’altare la principessa Maria Carolina Antonietta Adelaide di Savoja, e Carlo Emanuele Ferdinando Maria principe di Piemonte (il futuro Carlo Emanuele IV re di Sardegna), incaricato questi di sposare per procura la sua sorella in nome del principe Antonio Clemente duca di Sassonia. Assistevano alla cerimonia il re Vittorio Amedeo III, e la regina Maria Antonietta Ferdinanda Infanta di Spagna, genitori della sposa, tutta la real famiglia, la principessa Carlotta di Carignano, il cardinale Marcolini, il principe di Salm-Salm, tre vescovi, i cavalieri dell’Ordine, il principe di Masserano, i ministri di Stato, il capitano delle Guardie del Corpo, il governatore dei Principi, il mastro di cerimonie ed introduttore degli ambasciatori. Il conte Marcolini, ambasciatore straordinario di Sassonia, assisteva in luogo distinto al rito nuziale. Il grande elemosiniere del re uscì pontificalmente dalla sacrestia e, dopo essersi inginocchiato all’altare, ed inchinato al re e alla regina, fece agli sposi la consueta interrogazione. Il principe di Piemonte rispose senza esitare; ma la principessa, alzatasi, prima di rispondere fece la filiale riverenza ai suoi genitori, e rimessasi in ginocchio rispose anch’essa affermativamente. Allora il prelato diede loro la benedizione nuziale, e recitò il discorso d’uso. I tre vescovi firmarono il registro del matrimonio. Terminata la funzione, e preso congedo dal re e dalla real famiglia, l’ambasciatore della corte Elettorale di Dresda partì alla volta d’Augusta, ove la sposa doveva essere consegnata dai commissari del re ai commissari Sassoni. Il mattino seguente partiva quindi la nuova duchessa di Sassonia e con lei il re, la regina, il principe e la principessa di Piemonte, che la vollero accompagnare sino a Vercelli .
Ma, prima della partenza, il nuziale corteggio traversò la città di Torino, avendo voluto il re e la regina ancora una volta rivedere la loro ultima figlia. All’epoca, i viaggi in Europa non erano così frequenti neppure per i nobili e i regnanti, quindi questo poteva essere veramente l’ultimo incontro con Maria carolina. Da Vercelli, la giovane sposa proseguì il viaggio passando per Milano, Roveto, Innsbruck, affidata al conte della Marmora, gran mastro della casa del re, luogotenente generale di cavalleria e ministro di Stato. Erano nel corteggio della duchessa il marchese di Bianzè suo primo scudiere e cavaliere d’onore, il cav. Berzetti, maggiordomo del re, l’uditore Borsetti, segretario di Stato nel Ministero degli affari esteri e segretario di gabinetto della duchessa, la marchesa di Cinzano, dama d’onore, la contessa di Salmour e la marchesa di Verolengo, dame di palazzo: d’altronde si muoveva un membro della famiglia reale sabauda. Giunta in Augusta, la duchessa fu consegnata (il termine oggi ci appare scortese, ma al tempo era quello utilizzato nell’affidare la moglie al marito) dal conte della Marmora e dall’uditore Borsetti, commissari del re, ai commissari di Sassonia, conte Camillo Marcolini, e Carlo Enrico Clauzer il 14 ottobre 1781. Il 24 dello stesso mese, il principe Antonio conduceva in persona all’altare la sua giovane sposa in Dresda, e così si confermava solennemente quel nodo familiare e spirituale che una sciagura doveva di lì a poco rompere. Nelle “Istruzioni” dettate dal re Vittorio Amedeo III al conte della Marmora si leggono parole presaghe di un futuro non roseo: “La speciale circostanza in cui la principessa si trova di non aver avuto il vajuolo, esige sopra ogni cosa che non siano dimenticate le convenienti precauzioni per preservarla nel viaggio da tutto ciò che potesse servire a comunicare una malattia così pericolosa; e noi non dubitiamo della vostra diligente attenzione a questo riguardo”. Un anno appena era trascorso, e la principessa moriva di vaiolo il 28 dicembre 1782, a diciotto anni essendo nata il 17 gennaio 1764. Il feretro, esposto al popolo come di rito, ebbe poi sepoltura a Dresda, nella cripta della famiglia Wettin della cattedrale Santissima Trinità.
Pare che Carolina mal si adattasse alla corte sassone e avesse una gran nostalgia di Torino. Tanto che l’elettore Federico augusto scriveva al re di Sardegna, il 24 marzo 1781, in un perfetto francese (la lingua europea per eccellenza nel XVIII secolo): “Senza dubbio costerà alla sensibilità di Madame la Principessa la lontananza dai suoi illustri genitori e da una famiglia che deve essere molto cara. Ma io avrò così tanta cura di distrarla dalle sue preoccupazioni, e mio fratello il Principe Antoine sarà così diligente nel conquistare la sua fiducia e la sua stima, che spero di attenuare l’amarezza di questa separazione per lei”. Questa sua tristezza, che mai venne meno, la passeggiata per Torino prima della partenza, la dolorosa separazione dalla famiglia reale a Vercelli, il presentimento paterno per la malattia infettiva, costituirono l’argomento per una canzone popolare, nota in varie versioni e varianti, che nel 1862 Costantino Nigra raccolse da una contadina della collina di Torino e pubblicò come testimonianza del sentimento di antica lealtà del popolo piemontese nei confronti dei suoi regnanti, tacciando però la Sassonia d’essere un Paese barbaro.
La bela Carolin la völo maridè, / Lo düca de Sassónia a i volo fe spuzè. / O s’à m’è bin pi car ün póver paizan, / Che ‘ l dūca de Sassónia ch’a l’è tan luntan. / Ün póver paizan l’è pa del vost onur ; / Lo düca de Sassónia ch’a l’è ün gran signur. / O s’a m’è bin pi car ün cavajer dla curt, / Che ‘l düca de Sassónia ch’a l’è ün gran signur. / Ün cavajer dla curt l’è pa del vost onur; / Lo düca de Sassónia ch’a l’è un gran signur. / Da già ch’a l’è cozì, da già ch’a l’è destin, / Faruma la girada tüt anturn d’ Türin. / Bundì, me car papà, bundì, cara maman, / Che mi vad an Sassónia ch’a l’è tan luntan. / Cara la mia cügnà, përchè na piuri tan ? / Mi sun venüa da ‘n Fransa ch’a l’è tan luntan. / Cara la mia cügnà, vui sì venüa a Türin, / A Caza di Savoja ch’a l’è ün bel giardin ! / Cara la mia cügnà, tuchè-me ‘n po’ la man, / Cula che v’arcomando s’a l’è la mia maman. / Quand a n’in sun rivà sül punt di là d’ Versei , / N’a fa la dispartia cun i so fratei. / Fratei dei me fratei, tuchè-me ‘n po’ la man, / Che mi vad an Sassónia ch’a l’è tan luntan. / Tuchè-me ‘n po’ la man, amis, me car amis, / L’è cun la fiur del liri a’ rved-se an paradis.
Traduzione
La bella Carolina la vogliono maritare, il duca di Sassonia vogliono farle sposare. Oh ! m’è ben più caro un povero contadino che il duca di Sassonia che è tanto lontano. Un povero contadino non è del vostro onore; il duca di Sassonia gli è un gran signore. Oh! m’è ben più caro un cavaliere della corte, che il duca di Sassonia che è un gran signore. Un cavaliere della corte non è del vostro onore ; il duca di Sassonia gli è un gran signore. Quand’è così, quand’egli è destino, faremo il giro tutt’intorno a Torino. Buondì, mio caro padre, buondì, cara madre, ch’io vado in Sassonia che è tanto lontano.
La mia cognata, perché piangete tanto? Io son venuta di Francia che è tanto lontano. Cara la mia cognata, voi siete venuta a Torino, a Casa di Savoja che è un bel giardino. Cara la mia cognata, stringetemi la mano, quella che vi raccomando si è la madre mia. [chi parla qui è la Principessa di Piemonte Adelaide di Francia, nipote di Luigi XV, sorella di Luigi XVI, moglie di Carlo Emanuele IV, cognata di Carolina].
Quando giunsero sul ponte di là da Vercelli, ne fa la dipartita dai suoi fratelli. Oh fratelli, miei fratelli, stringetemi la mano, ch’io vado in Sassonia che è tanto lontano. Stringetemi la mano, amici, miei cari amici, col fior del giglio a rivederci in paradiso!
E se volete sentirla cantata, in rete ci sono molti cori che la riproducono. Ne ho scelto uno, del Coro A.N.A. di Milano (per ascoltare, cliccare sulla immagine sottostante):
Maria Carolina era la decima dei figli di Vittorio Amedeo III di Savoia. Le due sorelle maggiori, destinate a più splendide nozze, avevano sposato due figli del re di Francia che poi regnarono amendue coi nomi di Luigi XVIII e di Carlo X. Il principe Antonio sposò in seconde nozze, dopo cinque anni di vedovanza, Maria Teresa di Lorena figlia di Leopoldo II imperatore, e succedette nel 1827 a Federico Augusto, suo fratello, nel Regno di Sassonia, ma non ebbe discendenza perché i quattro figli perirono durante l’infanzia.