Nel precedente articolo ho tracciato una breve storia della piazza Vittorio Emanuele II (già “Platea maior” o “Piazza Maggiore”). Ora descriverò brevemente gli edifici civili che si affacciano su questo grande spazio, un tempo area mercatale (dal medioevo sino a tempi recenti) e poi area semipedonale con gli ultimi interventi urbanistici. L’antica Piazza Maggiore è una delle rare piazze poste in pendenza: la sua collocazione la rende una delle più interessanti del Piemonte, con un colpo d’occhio sorprendente per chi arriva dalla via San Martino. Dalla piazza si irradiano le vie principali della Città storica: la via San Martino, che la collega al borgo Navile, la via Santa Croce, che la connette alla Porta Piacentina, e la via Principessa Clotilde – già contrada di Santa Maria – che porta al Castello. Vicoli e scalette permettono il collegamento con le vie a nord e a sud della piazza, parallele ad essa (via Alfieri e via Real Collegio.
La piazza è dominata dagli edifici del Palazzo Civico e della chiesa collegiata Santa Maria della Scala. Nella parte bassa, all’angolo con la via Carlo Alberto, si trovano la chiesa San Francesco e ciò che resta del suo convento. E’ circondata da bei palazzi medievali, residenze delle famiglie nobili che più contribuirono allo sviluppo della Città. La maggior parte di essi fu edificata tra il Quattrocento e il Cinquecento su un impianto precedente, con portici, terrazzi e loggiati. La sequenza delle case ai due lati segue il dislivello della piazza e si delinea secondo portici scalari, coperti da terrazze.
Salendo la piazza dal lato nord, troviamo un edificio popolarmente denominato come Casa delle Bambole, per il suo aspetto aggraziato, a lungo sede di istituto bancario. Risale al 1936-1937. Al n. 7 sorge il Palazzo Vassallo da Dogliani, con la facciata dipinta in finto bugnato monocromo, risalente presumibilmente al XVII secolo. La meridiana reca il motto “Tornando il sol torna a me la vita, ma più non torna a te l’età d’oro”. Di grande pregio le ringhiere in ghisa e il vaso di aspidistra in metallo: questa pianta, il cui nome deriva dal greco ασπίς, aspís, nel senso di scudo, per via dell’aspetto delle foglie) è una pianta ornamentale che può vivere anche cento anni, originaria dell’Asia orientale (Giappone, Cina e Himalaya) e dell’Africa; probabilmente fu scelta dalla famiglia come simbolo di potenza. Famiglia oriunda da Vercelli, apparteneva alla cosiddetta nuova nobiltà di corte, avendo l’avvocato Francesco Felice acquistato alcune parti del Feudo di Castiglione Falletto col titolo di Signore nel 1680. Suo nipote Francesco Ignazio (n. Dogliani il 21 febbraio 1723) ottenne nel 1772 il titolo di conte di Castiglione Falletto; egli sposò Marianna Giannuzzo di Belvedere e suo figlio Baldassarre (n. Dogliani, 19 settembre 1749; ivi 4 agosto 1816), si addottorò in leggi e fu scrittore di memorie storiche. Dalle sue nozze con Felicita Coppa di Valmacca, Baldassarre ebbe, fra gli altri, Filippo (n. Dogliani 3 settembre 1794; dec. ivi, 17 novembre 1877), che fu tenente nella brigata Piemonte.
Segue un sovrappasso (altri sono stati inglobati nelle case) che un tempo collegava Casa Destefanis (n. 8) col Palazzo Duch (n. 9). Quest’ultimo risale al XV secolo, e fu eretto dalle stesse maestranze che lavorarono per il duomo di Torino, inglobando le preesistenze medioevali in un aggraziato edificio con facciata rinascimentale, poi innalzato di un piano con loggia continua ad arcate. La famiglia Duch era oriunda di Asti, come molte famiglie della nobiltà antica legata a Casa Savoia: molte famiglie si arricchirono come prestatrici di denaro. Gli Statuti medioevali di Moncalieri stabilivano che nessuna famiglia potesse costruire una abitazione più alta di quella dei Duch. Uno dei personaggi più influenti della famiglia fu Cristoforo, nato nel 1503 da Biagio, capitano e castellano di Moncrivello (Vercelli) e di Franceschina Tana di Santena, appartenente quest’ultima a una delle maggior famiglie del Chierese. Destinato alla vita religiosa, si avviò invece alla carriera delle armi. Nel 1522 entrò al servizio del duca Carlo II di Savoia quale gentiluomo, poi passò a quello del re di Francia, combattendo nelle battaglie di Novara e Lodi; nel 1524 era a Romagnano Sesia con la retroguardia francese, nel combattimento contro gli Spagnoli che costò la vita al celebre cavaliere Pierre de Terrail detto il Bayard (il “cavaliere senza macchia e senza paura”). Nel 1525 combattè al fianco di Francesco I di francia nella battaglia di Pavia. Preso prigioniero dagli Spagnoli nel 1529, fu oggetto di un tentativo di liberazione da parte del duca Carlo II di Savoia, che si offrì di pagare la taglia. La liberazione avvenne, pare, senza esborso di denaro. Rientrato al servizio ducale, Cristoforo partecipò a Genova (1529) alle accoglienze all’imperatore Carlo V, e fu al suo seguito a Bologna. In questa città l’anno dopo ritornò con la duchessa Beatrice, per assistere alla incoronazione imperiale dello stesso Carlo V. In questa occasione l’imperatore creò il Duch cavaliere e conte palatino e lo insignì dell’Ordine dello Sperone d’oro. Nel 1531 e nel 1536 il Duch resse il Comune di Moncalieri; in quest’ultimo anno si trovò coinvolto nelle vicende che seguirono all’invasione francese del Piemonte. Incaricato di comandi nelle fortezze di Trino e Volpiano, partecipò alla fallita impresa di Provenza (1536) ed eseguì una ambasciata presso il marchese del Vasto. Nel 1537 si recò in missione in Spagna, fu a Barcellona e Montserrat, al ritorno si incontrò a Montpellier con Francesco I, il delfino e la regina di Navarra. Nel mese di aprile 1538 il Duch si trovò coinvolto nei problemi sorti con la richiesta. avanzata da Paolo III, di consegna del castello di Nizza, perché vi fossero ospitati Carlo V e Francesco I, per la stipulazione di una tregua. Si recò due volte dal papa e cooperò affinché il castello rimanesse in mani sabaude; in luglio era presente ad Aigues-Mortes, dove in effetti avvenne l’incontro fra i due sovrani. Nel 1541 il Duch fu nominato da Carlo II suo maggiordomo. Sino al 1553 svolse numerosi incarichi per conto del duca di Savoia, fra i quali il ricevimento a Nizza dell’arciduca Massimiliano (ottobre 1548), che si recava in Spagna per sposare la figlia di Carlo V, Maria. Nell’agosto del 1553, dopo la morte di Carlo II, procedette all’inventario dei beni di quest’ultimo e dei debiti con il personale della sua casa. Il 15 ottobre ringraziava il nuovo duca Emanuele Filiberto per averlo mantenuto al suo servizio nonostante l’età. Il 20 novembre scrisse una lunga relazione sull’assalto e saccheggio dato a Vercelli dai Francesi guidati dal maresciallo di Brissac, narrando delle ricchezze rubate e del fallito tentativo francese di asportare la Sindone. In seguito alla cattura (novembre 1537), da parte francese, del luogotenente generale René de Challant, al D., secondo il Claretta, sarebbe stato dato l’incarico di recarsi in Val d’Aosta, per convincere la contessa di Challant e il “Conseil des commis” a organizzare la difesa dei castelli della Valle. La missione sembra confermata da una lettera del Duch, che parla della fedeltà dei Valdostani e di una Valle d’Aosta sicura per il duca, dopo che le fortezze fossero state munite di comandanti. Dopo il gennaio 1554, si recò in Fiandra presso Emanuele Filiberto. Per suo incarico eseguì una missione in Inghilterra; gli fece anche diversi prestiti e fu presente a numerosi combattimenti, tra cui l’assedio di Hesdin e la vittoria di San Quintino; quest’ultimo episodio gli valse da parte di Filippo II una pensione e da Emanuele Filiberto la nomina a cavaliere aurato. Nel 1559, per le nozze del duca di Savoia con Margherita di Francia. commissionò un libro di preghiere con i ritratti dei due sposi, oggi alla Biblioteca reale di Torino. Al rientro di Emanuele Filiberto nei suoi Stati il Duch fu nella Bresse e nel Bugey, per riprenderne possesso in nome del duca. Nel Memoriale espresse la sua disillusione per il trattamento ricevuto dal duca, a suo dire non riconoscente dei sacrifici e sforzi fatti in tanti anni. In una patente, scritta qualche mese prima della morte di Cristoforo, Emanuele Filiberto riconobbe i suoi servizi ed i prestiti ricevuti ed in cambio gli donò 4.000 scudi d’oro sui redditi di Moncalieri. Negli ultimi anni il D. si occupò di lavori al castello di Rivoli e scrisse una relazione sul modo di gestire la casa ducale. Morì a Milano il 14 novembre 1563; ebbe solenni funerali dal duca di Sessa e fu seppellito in S. Ambrogio.
Nel prossimo articolo tratteremo degli altri palazzi della Piazza, appartenuti ai Solaro, ai Provana e ai Messier di Grana.