Il titolo dell’articolo sa di avventuroso. Sembrerebbe quasi l”inizio di una fiaba, di quelle piene di pollai con zampe di gallina, lupi mannari, diavoletti dispettosi e santi taumaturghi. In effetti, la vicenda della vertebra di San Grato, preziosa reliquia che contribuì a far assurgere il vescovo a compatrono di Moncalieri, sa di favoloso. La linea tracciata è quella delle reliquie, straordinario mondo a parte che arricchì di grazia le coscienze di molti e le tasche di molti.
Nel 1429 il duca Amedeo VIII di Savoia ottenne in dono dal vescovo di Aosta, Oger Moriset, una vertebra del santo, dono che convinse il duca a offrire in cambio un prezioso busto reliquiario. La cronaca “Magna Legenda Sancti Grati” si accrebbe di un episodio legato al transito ad Aosta della contessa di Savoia, Bona di Borbone, tra 1390 e 1391: ottenuto un dente del santo, fu poi costretta a restituirlo perchè fu coinvolta in una tempesta sul colle del Gran San Bernardo. Il santo era contrariato per il mercimonio cui venivano sottoposti i suoi resti mortali. Amedeo Ix compiva quindi un atto riparatore: otteneva una reliquia di San Grato ma commissionava una nuova “dimora” per le ossa del Santo. E’ anche probabile che l’atto di prodigalità del vescovo Moriset avesse scatenato delle rimostranze tra la popolazione, molto legata ai sacri resti.
Probabilmente la reliquia ottenuta in dono da Amedeo VIII fu riposta in una casa reliquiario oppure in un reliquiario a forma di busto, tanto di moda in quegli anni. descritto forse nella “ymago sancti Grati” del 1483 a Chambery e poi ancora documentato nel 1498 a Torino, con tanto di fermaglio ornato di perle, zaffiri e rubini. La medesima vertebra fu poi ceduta nel 1475 da Jolanda di Savoia al Comune di Moncalieri. Il Comune incaricò l’orafo Francesco Solaro della realizzazione di un reliquiario d’argento, oggi perduto, consegnato ai Canonici della Collegiata Santa Maria della Scala
Il busto reliquiario fu oggetto di restauri nel 1501, forse quando il duca Filiberto di Savoia sperava di ottenere una nuova reliquia del santo, cosa che effettivamente avvenne nel 1503, quando il vescovo di Aosta, Francois de Prez, concesse un frammento della testa di San Grato.
Ma chi era Grato di Aosta? Le sue vicende biografiche, in un misto di sacro e di profano, si confondono tra realtà storiche e documentali e leggende. Le notizie storiche fondate ci dicono che Grato era un sacerdote che collaborava con Eustasio, primo vescovo di Aosta: ambedue erano di origine greca come fa intendere il nome del vescovo, probabilmente il più anziano dei due Eustasio, chiamò presso di sé il più giovane Grato. Forse ebbero una formazione ecclesiastica nel celebre cenobio fondato da Eusebio da Vercelli († 371), il grande vescovo che al ritorno dall’esilio in Oriente, impostagli dall’imperatore Costanzo, volle trapiantare nella sua diocesi il monachesimo.
Sant’Ambrogio affermò, che in quel tempo tutti i vescovi dell’Italia Settentrionale provenivano dal cenobio eusebiano, quindi anche Eustasio e Grato, vissuti nella seconda metà del V secolo, provenivano da lì; tenendo conto che Aosta, la romana Augusta Pretoria, prima del tempo di Eustasio era compresa nel territorio della Chiesa vercellese.
Si sa che Grato era ancora semplice sacerdote, quando rappresentò Eustasio al Concilio provinciale di Milano del 451, sottoscrivendo la lettera che quell’assemblea inviò al papa san Leone I Magno, per condannare l’eresia di Eutiche († 454 ca.), monaco greco che negava le due nature di Cristo, affermando l’assimilazione della natura umana in quella divina.
In un anno imprecisato, ma certamente dopo il suddetto 451, Grato successe a Eustasio alla guida della giovane diocesi valdostana; durante il suo episcopato, Grato partecipò alla traslazione delle reliquie del martire tebeo S. Innocenzo, alla quale erano presenti anche i vescovi di Agauno e di Sion, come ricorda la “Passio Acaunensium Martyrum”.
Non si conosce l’anno della sua morte, ma stranamente quello della sepoltura, 7 settembre, ricavato dalla breve iscrizione sepolcrale: “Hic requiescit in pace S. M. GRATUS EPS D P SUB D. VII ID. SEPTEMB.”; incisa sulla pietra tombale conservata nella chiesa parrocchiale di Saint-Christophe.
La diffusione del culto
La popolarità del culto di san Grato risale però al XII o al XIII secolo, quando le sue reliquie furono traslate dalla chiesa paleocristiana di San Lorenzo, che sorgeva a est della città nella zona dell’attuale collegiata di Sant’Orso, alla cattedrale, dove sono tuttora conservate in un reliquiario in argento e rame dorato del XV secolo.
Secondo la tradizione, il 27 marzo di un anno imprecisato, durante la festa liturgica che fu introdotta per ricordare la traslazione fu inclusa la triplice benedizione della terra, dell’acqua e delle candele, per allontanare ogni flagello dai campi, dai contadini e dal bestiame e per invocare il favore di Dio sui prossimi raccolti. La cosiddetta “Benedizione di S. Grato” era sicuramente di derivazione pagana, che coincideva con l’inizio della primavera e che venne, come in altri casi, cristianizzata.
Man mano quella benedizione attirò sul santo vescovo aostano una serie di patronati: lo si invocava quando il disgelo faceva straripare laghetti e torrenti, quando la siccità spaccava il terreno, la grandine minacciava il raccolto, quando s’incendiava il fienile o quando bruchi, cavallette e talpe devastavano i campi. Fu da subito considerato protettore e taumaturgo contro streghe e diavoli, che tanto influenzavano la mentalità della tarda Antichità e dell’Alto e Basso Medioevo. La città e diocesi di Aosta lo venera come santo patrono e lo celebra il 7 settembre.
Le notizie leggendarie
Le poche notizie certe sulla vita di s. Grato, con il tempo non furono più sufficienti a sostenere il diffuso culto popolare del santo vescovo di Aosta. Pertanto, nel XIII secolo, a commento della traslazione delle reliquie nel Duomo, il canonico Jacques de Cours, ignaro dei fatti storici e mosso da incauto zelo nei confronti del santo patrono, scrisse la “Magna Legenda Sancti Grati”.
La “Vita” di S. Grato risultò così fascinosa per il gusto agiografico dell’epoca, che necessitava di figure favolose ed eroiche, che già nel XVI secolo si cominciò a dubitare del racconto e molti studiosi, fra i quali Cesare Baronio, primo estensore del ‘Martirologio Romano’, ne contestarono la veridicità.
Ma non tutti erano disposti a rinunciarvi, così le polemiche durarono fino agli anni Sessanta del Novecento, quando lo storico Aimé Pierre Frutaz, dimostrò inconfutabilmente che la “Magna Legenda Sancti Grati” era del tutto inventata; ma bisogna comunque tener conto che senza di essa, non si riuscirebbe a spiegare l’iconografia del santo e la straordinaria diffusione del culto al di fuori della Vallée, come in Piemonte, Lombardia, Svizzera e Savoia.
Ma cosa era scritto nel racconto agiografico? Secondo de Cours, Grato era nato in una nobile famiglia di Sparta; dopo aver studiato ad Atene era diventato monaco. Per sfuggire alla persecuzione dell’eretico imperatore d’Oriente, lasciò Costantinopoli rifugiandosi a Roma dove fu accolto con tutti gli onori; il papa lo nominò suo consigliere, inviandolo alla corte di Carlo Magno, affinché lo persuadesse ad intervenire in Italia contro il re longobardo Desiderio. Tornato a Roma, mentre pregava nella Chiesa di Santa Maria dei Martiri, l’ex Pantheon, Grato ebbe una visione, dove si vedeva una grande valle abbandonata a sé stessa, che lo attendeva; nello stesso momento anche al papa appariva in sogno un angelo, che gli ordinò d’inviare Grato come vescovo ad Aosta.
Nella Valle, Grato intraprese un’opera di conversione tra i troppo tiepidi cristiani del tempo e i numerosi pagani ancora presenti; operò numerosi prodigi e miracoli che convinsero molti pagani a convertirsi. Quando Carlo Magno seppe che molti di essi resistevano al cristianesimo, inviò in Valle d’Aosta il prode paladino Orlando per combattere questi infedeli; Orlando valicò le Alpi coperte di neve e ghiacci, guidato da un angelo. Grato intervenne di nuovo con i pagani, convincendoli alla fine a superare lo scontro ed evitare così uno spargimento di sangue. Il salto temporale tra verità storica e mito è ben evidente: Grato sarebbe vissuto nel V secolo, mentre Carlo Magno nelll’VIII-IX secolo.
Torniamo al nostro racconto. Ubbidendo ad un messaggio del Signore, Grato si recò in Terrasanta, accompagnato dal monaco san Giocondo, e lì ritrovò la reliquia della testa di san Giovanni Battista, rimasta nascosta in un luogo segreto del palazzo di Erode e mai trovata; lì giunto, Grato la ritrovò prodigiosamente in fondo ad un profondo pozzo.
Naturalmente vi furono miracoli sia durante il viaggio, per placare una furiosa tempesta come pure in Terrasanta; trovata la reliquia con l’aiuto di un angelo, Grato la nascose sotto il mantello e dopo aver salutato il patriarca di Gerusalemme senza riferirgli il ritrovamento, affinché non la reclamasse, prese la via del ritorno.
Dovunque passasse le campane suonavano autonomamente e persino due bimbi resuscitarono al suo avvicinarsi. La leggenda del ritrovamento del capo di s. Giovanni Battista, ha ispirato l’iconografia di s. Grato, che spesso è raffigurato con la testa del Battista in mano; è da dire che leggende precedenti dicevano che la reliquia sarebbe stata portata a Roma da monaci greci.
Quando arrivò a Roma, gli andò incontro il papa con un corteo, mentre le campane suonavano a festa da sole, Grato allora tolse dal mantello la reliquia del capo e la porse al papa, ma nel fare ciò gli rimase in mano la mandibola che si era staccata: ciò fu interpretato come il segno che quella reliquia dovesse rimanere a Grato, che con il consenso del papa la portò ad Aosta. Qui si ferma il racconto della “Magna Legenda sancti Grati”.
Nell’iconografia, è frequente anche il riferimento alla sua protezione contro la grandine, che dirigeva verso un pozzo affinchè non danneggiasse i raccolti.