La cappella della Visitazione di Maria Santissima alla cugina Santa Elisabetta (questa è la dedicazione completa, ma per praticità abbrevieremo con “cappella della Visitazione”) in località Valinotto a Carignano è conosciuta in tutto il mondo come capolavoro giovanile del grande architetto Bernardo Antonio Vittone, allievo di Filippo Juvarra. Ben note le sue vicende storiche, architettoniche, decorative, approfonditi – negli ultimi anni – molti aspetti legati alla committenza (il banchiere Antonio Facio) e agli artisti di corte che operarono nell’edificio (Giuseppe Antonio Riva, Pierfrancesco Guala). Meno noti sono invece alcuni punti, che andremo a dettagliare. Perchè la Storia è composta da varie parti, e le curiosità fanno parte della Storia.
Iniziamo con la sacrestia o cappella devozionale. Benchè i documenti precedenti la costruzione del Santuario scrivano che la cappella Madonna della Neve (XV secolo), posta nel medesimo sito, fosse completamente abbattuta per far posto alla fabbrica nuova, alcuni indizi ci inducono a pensare che l’abbattimento non sia stato completo. La forma rettangolare della sacrestia potrebbe corrispondere all’antica cappella medioevale, posta su una trafficata strada percorsa da pellegrini e mercanti che si recavano verso la Francia. D’altronde Vittone a volte recuperava tratti di muro o vecchie costruzioni ritenute sane, inglobandole nei suoi nuovi edifici: un recupero non tanto filologico quanto invece utilitaristico. Nell’attuale sacrestia fa bella mostra di sè un affresco dei primi del ‘500, probabile opera di Jacopino Longo da Alba: una Madonna che allatta il Bambin Gesù, su cui torneremo in un altro articolo sugli affreschi antichi del Santuario. Sulla volta barocca della sacrestia, vi sono pitture a fresco, con quadrature, opera forse di Nicolò Dallamano oppure dei fratelli Gioannini di Varese.
Interessanti, tra gli arredi, i due non rari confessionali aperti. Copia di quelli trafugati negli Anni Settanta del XX secolo, fanno bella mostra di sè a destra e a sinistra della navata. Probabile opera dello scultore carignanese Giuseppe Antonio Riva (anni Quaranta del ‘700), la sedia del cappellano ha delle curiose zampe di caprone. Il fedele, posto in ginocchio, era nella fase buia del peccato, rappresentato dal demonio-caprone. Solo dopo il rito della confessione saliva verso la redenzione, simboleggiata dal trigramma divino.
E ora la più curiosa delle curiosità della cappella-santuario: la copertura esterna originale della volta. Le incisioni vittoniane ci danno conto di una cupola esterna ben differente dall’attuale, più vicina alla pagoda. In effetti, durante i lavori di restauro degli anni Settanta del XX secolo, furono rimosse le tegole – per riparare le infiltrazioni di acqua piovana – e sotto apparve una straordinaria copertura in scandole maiolicate colorate, arredo non comune nella zona ma sicuramente attestato in Piemonte (vedi Saluzzo, Agliè). Forse un ricordo della visita romana di Vittone, sicuramente un vezzo che costò caro al Santuario. Mal realizzate da maestranze non abili, furono oggetto precoce di riparazioni. Con ogni probabilità, negli Anni Dieci dell’800, quando la cappella era proprietà dei conti Balbo di Chieri, ci fu un drastico intervento che modificò la struttura originaria. Durante i restauri del ‘900, una piccola porzione delle terrecotte maiolicate fu asportata e oggi può essere ammirata nel percorso del Museo Civico “Giacomo Rodolfo” di Carignano. “Curate” le ferite dei tetti del Santuario, l’antica copertura tornò nell’oscurità. Provate a cliccare sulla fotografia sottostante, per poter leggere un piccolo saggio del nostro socio Tommaso Carena.