Passeggiando nel centro storico delle nostre città, a volte ci imbattiamo in oggetti all’apparenza inutili o di scarso significato ma che invece raccolgono nei loro componenti essenziali una Storia plurimillenaria. Quella che oggi vado a raccontarvi è la Storia della nascita dei tuoni e delle saette, così come la narra la tradizione piemontese. E parto da una pietra, di color verdastro, che si trova vicino alla Chiesa dello Spirito Santo di Carignano, all’incrocio tra Via Vittorio Veneto e Via Quaranta. E’ la cosiddetta “pietra del Monviso”, cui gli antichi attribuivano la virtù di attirare i fulmini, tanto che i guerrieri dell’età preistorica costruivano in pietra verde asce, oggetti di guerra ed amuleti, che si pensava racchiudessero la forza del tuono e del fulmine. La pietra verde fu utilizzata in ampie parti dell’arco alpino occidentale e nelle nostre pianure circa 7000 anni fa.  Il Monviso, il Padre delle Alpi, è sempre stata una montagna ricca di storia e di leggende, sfruttata come giacimento liteo nel Neolitico e nell’età del Rame. Nel corso del Neolitico (7200-7400 anni fa), i blocchi di pietra erano tagliati con l’aiuto del fuoco e il manufatto veniva sbozzato, portato negli abitati del fondovalle, situati a una giornata e mezza di cammino, dove veniva ritoccato e levigato. Le analisi petrografiche hanno rilevato che le grandi asce realizzate con la pietra del Monviso sono giunte sino alla Francia e alla Danimarca. In questi luoghi, però, i materiali compaiono dopo che la loro produzione era cessata da almeno 500 anni, indice del valore simbolico affidato a questi manufatti. Nell’età del Rame (Eneolitico) , più vicina a noi, in alcuni siti archeologici alla base della montagna si sono ritrovati solamente gli scarti di lavorazione e degli utensili rotti, perché i prodotti, una volta sbozzati, venivano portati a valle. Nell’Eneolitico, si inizia ad impiegare il metallo, per primo il rame nativo, che può essere ritrovato in natura e fuso a basse temperature. In Piemonte, durante l’Età del Rame, l’impiego della pietra del Monviso non è abbandonato del tutto. Per quanto riguarda la pietra verde, acquista importanza un fenomeno che si diffonde lungo tutto l’arco alpino. Lo sviluppo delle tecniche legate all’allevamento, infatti, porta ad avere greggi sempre più grandi, che devono spostarsi per trovare cibo a sufficienza e che costringe gli uomini a disboscare ampie zone d’alta quota per creare pascoli sempre più ampi. Nasce così la pratica della transumanza e la necessità di passare lunghi periodi lontano da casa, sulle montagne.  I pastori possono così cavare e sbozzare la pietra verde durante il periodo estivo e portare a valle gli oggetti semilavorati durante l’autunno. Inoltre acquisisce importanza l’arco, unica arma a disposizione per la caccia, fino a diventare un simbolo di prestigio sociale. In Piemonte l’inizio dell’età del Rame è fissata dagli studiosi a circa 5 mila anni fa quando, su tutto l’arco alpino, si registra una evidente diminuzione dei resti archeologici, forse dovuta ad un maggior utilizzo di recipienti più leggeri, in pelle o corteccia. Inoltre aumenta la presenza di oggetti tipici delle culture d’oltralpe, fattore che porta ad affermare l’importanza dei valichi alpini come zona di scambio, grazie all’attività dei pastori transumanti e alle condizioni climatiche più favorevoli rispetto ad oggi. Anche la produzione di oggetti in pietra verde subisce un mutamento. Infatti le asce diventano più piccole e levigate solamente sulla lama. Inoltre gli utensili e gli oggetti di ornamento vengono realizzati con materiali locali, segno del decadimento delle vie commerciali neolitiche.

La premessa sulla pietra verde era dovuta. Da sempre le popolazioni dedite all’idolatria legano la presenza del fulmine e del tuono a divinità potenti: ricordiamo Zeus per i Greci e Giove per i Romani, raffigurati con un fascio di saette in mano. Lo stesso Mosè ricorda che vide Dio in forma di roveto ardente. In Piemonte, i due caratteristici segni dei temporali estivi (che oggi percepiamo anche in pieno inverno, per i disastrosi cambiamenti climatici), sono legati alla leggenda di Caterina, la irosa moglie di S. Pietro, che già era iracondo di suo. Morta Caterina, l’apostolo chiese a Dio di potere riavere la moglie, in una sorta di identità tra la tradizione piemontese e la Storia di Orfeo alla ricerca della consorte nell’Aldilà. Dio acconsentì, facendo scendere all’Inferno, dove era finita la cattiva Caterina, un lungo gambo d’aglio (cioè una “fiaona” che, seccata, i nostri nonni a volte fumavano, in mancanza di sigarette); Caterina si attaccò alla provvidenziale “scala” ma contemporaneamente tentarono la scalata molte altre anime, che vedevano nell’insperata occasione di poter risalire la fine delle loro pene eterne. Caterina, che non voleva condividere il privilegio, iniziò a scalciare e a inveire, finendo per rompere il delicato stelo d’aglio. La moglie di Pietro ricadde all’indietro, tornando ai tormenti dell’Inferno: da allora i suoi rimbrotti a Lucifero e le sue urla di rabbia, amplificate dalla caverna immensa degli Inferi, rimbombano nelle nostre terre: da lì sarebbe nato il tuono, che segue al fulmine, provocato anche questo da Caterina che scuote le braci dell’Inferno per star più comoda. A Pietro non rimase che un pianto di sconforto, abbondante e consolatorio. Ecco perché ai fulmini e al tuono segue la pioggia: sono le calde lacrime dell’Apostolo. Caterina rimase nell’immaginario piemontese, ricordata con malcelata ironia dalle massaie e dalle contadine, ma guardata anche con sospetto e timore: tanto che “La Catlin-a”, nome derivato da quello della cattiva moglie di Pietro, indicava nientemeno che la Morte.

La storia di Caterina

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