Nella volta del Duomo di Carignano, i beati di Casa Savoia, Amedeo IX e Margherita, rendono onore ai due Santi Patroni della Città, in un tripudio di angioletti. E’ proprio del duca Amedeo che parleremo oggi, e della sua predilezione per la piccola ma importante cittadina cinta da mura e ben fortificata, avamposto degli Stati sabaudi prossimo al confine col marchesato di Saluzzo.
Questo articolo è anche un omaggio alla secolare Storia della dinastia, che per lunghi anni ebbe in Carignano una alleata fedele: ricorre nel 2016 il 600° della nomina di Amedeo VIII a duca, titolo che concedeva la preminenza politica dei Savoia sugli altri principi della Penisola. Amedeo IX, nato a Thonon il primo febbraio 1435, era nipote del primo Duca di Casa Savoia, essendo figlio di Anna di Lusignano e del duca Ludovico. Salì al trono nel 1464, già malato di epilessia, il “mal caduco” o “male di San Giovanni”, e perciò minato nel fisico e nella mente. Improntò la vita di corte ad una grande severità, alternando gli impegni di governo con lunghi tempi di preghiera e frequenti visite ai poveri e agli ammalati negli ospedali. Queste sue azioni lo resero amabile agli occhi del popolo, che pur costretto a pagare le tasse vedeva in lui un messaggero del Cielo, inviato a sanare le ferite dei poveri. Nel suo governo, fu coadiuvato – quando non sostituito – dalla consorte Jolanda di Valois (sposata nel 1452), figlia di quel Carlo VII che era stato incoronato re di Francia nientemeno che da Giovanna d’Arco. Amedeo e Jolanda erano stati promessi, per motivi politici, fin dalla culla, e per fortuna, considerata la frequente inabilità di Amedeo, Jolanda si era una donna energica e capace. Paziente nelle sofferenze, il Duca soleva dire che i malesseri soventi ci preservano da molti peccati. Le crisi della sua malattia furono da lui viste come “grazie del Signore”, affermando che Dio era più vicino nei momenti di dolore che in quelli di consolazione. Il duca dovette spesso scontrarsi con vassalli ribelli e coi potenti vicini, primo fra tutti Gian Galeazzo Visconti, ma l’aiuto del cognato preservò gli Stati sabaudi da invasioni e pericoli. Dal 1469 il governo fu di fatto assunto dalla moglie, perché il male si era violentemente riacutizzato e gli impediva di prendere decisioni. In attesa della maggiore età dei figli, Jolanda prese le redini del governo, e, aiutata dal padre, ebbe ragione dei nemici che minacciavano il Ducato. Amedeo IX morì a Vercelli il 30 marzo 1472. Le sue ultime parole ai figli furono: “Siate giusti, amate i poveri e il Signore darà pace ai vostri paesi”. E lui i poveri li aveva davvero amati: una volta un ambasciatore gli chiese quanti cani da caccia avesse; il duca mostrò i mendicanti seduti alla sua mensa, che egli stesso serviva, e rispose che da quelli lui era aiutato a dare la caccia al Paradiso. Considerato santo già in vita, alla sua morte il popolo gli tributò un culto spontaneo. Fu sepolto nella chiesa di sant’Eusebio, sotto i gradini dell’altar maggiore (ancor oggi le sue spoglie riposano in una elegante cappella laterale). L’arcivescovo di Torino Claudio di Seyssel, avviò immediatamente il processo di canonizzazione e il savoiardo Francesco di Sales, raccolte le prove, si adoperò presso papa Paolo V, perché ne proclamasse ufficialmente la santità. In occasione della canonizzazione di san Carlo Borromeo gli suggerì di collocargli accanto, come modello secolare, il duca. Nel periodo della Riforma, il card. Roberto Bellarmino, nel 1619, lo additò come esempio ai sovrani, in un breve profilo nel De officio principis christiani. Finalmente, su pressione politica dei nuovi Duchi di Savoia, fu proclamato beato nel 1677 da papa Innocenzo XI. La memoria è fissata per il 30 marzo ed è celebrata nella diocesi di Vercelli, ad Aosta e a Sarre in diocesi di Aosta.
Abbiamo detto che Amedeo IX ebbe una particolare predilezione per Carignano. La visitò in più occasioni ed ebbe modo di lasciare un segno indelebile nell’immaginario del popolo. Nel 1468 fu nella nostra città per un lungo periodo, da aprile ad agosto, per ragioni soprattutto politiche, che vedremo tra poco. Durante i riti della Settimana Santa, giovedì 16 aprile, Amedeo volle lavare da sé medesimo i piedi ai poveri che parodiavano gli Apostoli in una Sacra Rappresentazione, e questo suo atto sicuramente strappò le lacrime agli astanti, ammirati dall’umiltà del loro sovrano. In quell’occasione fornì il pasto a settantotto poveri, suddividendo le spese tra i suoi familiari: le note (conservate nel Libro dei Conti della Tesoreria Generale) ci informano che tredici furono a carico suo, tredici di Jolanda, ventisei delle due loro due figlie, Anna e Ludovica, ventisei dei figli maschi Filiberto e Carlo. Il fatto è riportato nel volume “Vita e virtù del Beato Amedeo, terzo duca di Savoia”, scritto da Carlo Giuseppe Morozzo (Torino 1686). Carlo era ancora infante, essendo nato proprio nel castello di Carignano il 29 marzo 1468: entrava inconsapevole nelle vicende devozionali del padre e sarebbe salito al trono dopo la morte del fratello, morendo ancor giovane di peste e lasciando vedova Bianca di Monferrato. Il 9 aprile, sempre in Carignano, con Lettere Patenti Amedeo nominò Antonio della Balma cavaliere del suo “Consiglio al di qua dei monti”: Antonio apparteneva ad una delle maggiori famiglie della Savoia, da secoli fedele alla Casata sabauda, tanto che un suo antenato era al seguito di Amedeo VI nell’assedio posto a Carignano nel 1360 contro il principe Giacomo d’Acaia. Antonio della Balma, Signore di Morterey e Langes, aveva già servito come ciambellano il duca Ludovico, padre di Amedeo IX e addirittura Luigi re di Cipro come Governatore. Assai apprezzato per le sue doti di politico dalla regina Carlotta, una volta caduta l’isola in mano dei Turchi, tornò in Piemonte, dove il duca Amedeo lo nominò cavaliere di S. Giacomo e Assessore nel Consiglio ducale delle terre piemontesi, allora vacante per la morte di Antonio de Lay signore di Treyuernay; il 7 dicembre 1469 il della Balma sarebbe diventato primo Cavaliere del Consiglio di Chambery.
Il 1468 fu in ogni senso un anno importante per i duchi. Gli Stati erano sotto attacco: il nuovo re Luigi XI avversava Iolanda e avrebbe voluto porre la reggenza del ducato nelle mani del bellicoso Filippo di Bresse, fratello di Amedeo. Ma le cose non andarono come voleva il re: Iolanda e Filippo ad un certo punto si allearono con Carlo il Temerario di Borgogna, e Luigi XI spinse Galeazzo Maria Sforza, duca di Milano, ad attaccare il Piemonte. Allora la duchessa impegnò il consorte in una alleanza con Venezia, la quale costrinse lo Sforza ad abbandonare l’iniziato attacco al Vercellese. Alcune lettere date dal castello di Carignano, che all’epoca era un possente maniero, piccolo ma ben tenuto per la difesa del borgo fortificato, forniscono una importante testimonianza dell’alleanza con Venezia, mettendo in campo tutta la maggiore nobiltà degli Stati, che spesso si ritrovò a corte in Carignano.
Il 23 maggio, Amedeo, duca di Savoia, del Chiablese e d’Aosta, principe del sacro romano impero e vicario perpetuo, marchese in Italia, principe di Piemonte, signore di Nizza, Vercelli, Friburgo, mise a conoscenza Venezia delle sue intenzioni di aderire ad un trattato: a tale effetto diede facoltà di rappresentarlo a Giovanni de Compey abate di Six e Filly, ad Ugonino signore di Chaudée, a Eusebio de Margaria arcidiacono di Vercelli, ad Antonio Lamberti cantore di Ginevra e a Umberto consignore di Lucinges, autorizzandoli a quanto fosse all’uopo necessario (lettera data da Carignano, munita del sigillo ducale, e sottoscritta dal duca alla presenza di Giovanni de Michaelis vescovo di Losanna cancelliere, di Claudio di Seyssel maresciallo, di Filiberto signore di S. Julien, di Ambrogio da Vignate, di Domenico di Piossasco consignore di Airasca e di Giovanni Loetier tesoriere; sottoscritto alla registrazione da L. Dal Pozzo). Due giorni dopo, sempre da Carignano, il duca invia una lettera al doge di Venezia, ringraziandolo per gli uffici fatti dagli ambasciatori veneti a Roma per l’ingresso di Amedeo nellalleanza (lettera sottoscritta dal duca e da tal Ayatonus. Un documento del 3 giugno 1468 dichiara che Amedeo, in omaggio a un trattato stipulato con la Repubblica di Venezia, accettando la sua nomina e di tutta la sua Casa come alleato, dichiara di voler estendere i patti con altri Stati italiani: testimoni dell’atto furono Giovanni de Michaelis vescovo di Losanna e cancelliere di Savoia, Filiberto de Palude signore di S. Julien, Ugonino Alemand signore di Arbence (o Arbent), Visfredo di Alligens presidente del Consiglio cismontano, Antonio d’Orly governatore di Nizza, Domenico di Piossasco dei Signori di Airasca e Pietro di S. Michele collaterale del Consiglio ducale, tutti consiglieri e ciambellani del duca; l’atto fu redatto da Antonio Giacomo del Pozzo figlio di Bartolomeo di Villanova presso Moretta, notaio e segretario del duca e fu trascritto da Antonio Barutelli suo coadiutore. Il 28 luglio del medesimo anno, Cristoforo della Rovere dei Signori di Vinovo dottore in ambe le Leggi, consigliere ducale e giudice delle Valli di Susa, del Canavese e di Avigliana, dichiarava l’autenticità dello strumento.